DETTAGLI DIMENTICATI?

L’impegno sociale di Tina Anselmi

Cristina Arata, presidente della Fondazione Tina Anselmi ripercorre l’impegno sociale di Tina Anselmi: dalla resistenza, all’attivismo sindacalista, fino a diventare la prima donna ministro del Lavoro e successivamente della Sanità.

Dacia Maraini, nella sua introduzione al libro “Tina Anselmi. Storia di una passione politica”, ha descritto la storia di Tina Anselmi come “una storia integra di vita e di lavoro in cui Tina si è resa protagonista con la sua intelligenza liquida che l’ha fatta scivolare sicura senza fermarsi davanti a preconcetti o inutili divieti”.

È senz’altro una descrizione calzante della singolarità dell’esperienza di vita e storica di Tina Anselmi.
La misura di questa singolarità si intuisce nella stessa definizione che Tina Anselmi dava della politica, definizione che ancor oggi mi appare molto significativa: “la politica è organizzare la speranza”.
Per Tina la partecipazione politica era partecipazione comunitaria e sociale, e rispondeva ad una precisa idea di società, di valori e di futuro: questo fil rouge si crea geneticamente nell’esperienza concreta che Tina vive nella prossimità con l’altro, con le fragilità umane, e su questa esperienza solida e nitida nasce l’impegno politico.
Le sue convinzioni sono maturate nel quotidiano contatto con le persone.

Nota è la sua partecipazione alla resistenza, in cui entra ad appena 17 anni con il ruolo di staffetta e con il nome di Gabriella (dall’Angelo Gabriele che a Maria ha portato un messaggio): entra nella brigata Cesare Battisti dopo il tragico episodio del 26 settembre del 1944 in cui nella città di Bassano del Grappa (dove studiava presso l’istituto magistrale) vengono rastrellati dai fascisti 43 giovani, impiccati ai lampioni lungo il viale Venezia, che (finita la guerra) diventerà Viale dei martiri.
Quella visione tragica e insopportabile a cui le scolaresche furono obbligate a presenziare, ha determinato una scelta di partecipazione alla resistenza mai vissuta da Tina come eccezionale, al contrario una reazione necessaria al terrore, la necessità di rispondere alla morte che incombeva su persone famiglie con il desiderio di vita.
Nella resistenza ha vissuto la prossimità con il pericolo e la morte. Ha condiviso la fame i lutti e le speranze.

Questa dimensione oggi è percepibile tra i giovani che in molti Paesi vivono situazioni di resistenza ad un sistema di potere che percepiscono come inaccettabile, perché viola i più elementari diritti umani e la dignità della persona.

Per lungo tempo Tina ha scelto di essere sindacalista della Cisl: ha viaggiato per il Veneto e non solo raccogliendo le storie, le fatiche e le istanze soprattutto delle donne lavoratrici.
Erano le donne che lavoravano nell’agricoltura o nelle Filande di cui Tina ricordava le mani lessate a forza di rimanere tanto tempo immerse nell’acqua per sfilare i bozzoli.
La condizione delle donne negli anni 50’ era di generale soggezione sia nell’ambito della famiglia che in ambito sociale: nel 46’ avevano votato per la prima volta in occasione del referendum tra monarchia e repubblica, ma l’organizzazione sociale e lo stesso ordinamento giuridico ancora di stampo prettamente fascista le vedeva soggette agli uomini, quindi al datore di lavoro, al marito e prima ancora al padre padrone.
Tina le affianca, e quanto nel 1977 diventerà la prima donna Ministro del Lavoro firmerà una legge sulla parità di trattamento tra uomini e donne che è conosciuta proprio come legge Anselmi: Tina abolisce discriminazioni oggi impensabili, come il diritto del datore di lavoro di licenziare ad nutum (senza motivazione) la lavoratrice donna che aveva raggiunto i 55 anni (allora era l’età pensionabile) anche se lei voleva continuare a lavorare.

Con lo stesso spirito Tina ha affiancato Lina Merlin, che militava nel Partito Socialista (quindi in un partito diverso dalla Democrazia Cristiana di cui lei faceva parte nella corrente di Aldo Moro). Con Lina ha combattuto la battaglia epocale per l’abolizione delle case chiuse e la lotta contro lo sfruttamento della prostituzione, obiettivi tradotti nella legge n. 75 del febbraio del 1958.

Fin dal dopoguerra Tina Anselmi con Lina Merlin e con Ilda d’Este avevano messo in campo un’attività di “pronto soccorso” a favore delle prostitute; attività quasi scandalosa e poco compresa soprattutto dai politici “uomini”.
Ma era un’attività che rendeva in qualche modo visibili le prostitute e attirava l’attenzione sulle ingiustizie che subivano, sulla miseria delle loro vite.
Anche loro erano persone, anche loro avevano una dignità umana invalicabile.
Nelle case chiuse i soldi passavano dai clienti alle tenutarie e i corpi delle prostitute – che erano solo ragazze – ne erano solo il triste tramite. Anche lo Stato guadagnava sulla prostituzione.
Battendosi per la chiusura delle case chiuse, Lina, Tina e Ilda hanno toccato i rapporti tra donne e uomini sotto un altro profilo, scardinando pregiudizi e moralismi profondamente radicati nella società di allora. Siamo nel 1958.

Ed è questa stessa sensibilità che ha portato successivamente Tina ad essere comunque prossima alle rivendicazioni delle femministe, alle loro istanze anche se a volte distanti dalla sua cultura personale e politica: il punto centrale era la parità tra uomo e donna, che come politica lei ha sempre perseguito anche attraverso la sua attività parlamentare.
È stata eletta per la prima volta in Parlamento nel 1968: ed era proprio il periodo in cui stavano per esplodere i movimenti femminili e le rivendicazioni femministe, a cui si è aperta perché era comunque un altro spaccato di mondo femminile cui non era possibile sottrarsi.

Tina ricordava spesso che le donne impegnate in politica riuscivano allora, pur appartenendo a partiti diversi, a condividere una comunanza di obiettivi che poi si trasformava in profonde amicizie e progetti politici: come è accaduto con Nilde Iotti autorevole esponente del Partito Comunista che ha ricoperto la carica di Presidente della Camera dei deputati.

Da questa comunanza e da questa trasversalità del lavoro delle donne è nata ad esempio la riforma del diritto di famiglia del 1978. Una rivoluzione copernicana, che sanciva la parità tra i coniugi, anche genitoriale, la valorizzazione del lavoro casalingo, la comunione dei beni e il diritto reciproco ad ereditare.

Tina negli ultimi anni della sua vita lamentava che le donne oggi impegnate in politica sembravano aver perso la consapevolezza di questa forza rivoluzionaria del lottare insieme per obiettivi condivisi.

Nel 1976 è stata la prima donna ministro della Repubblica italiana, Ministro del Lavoro.
È arrivata a coprire questo incarico dopo aver svolto quello di sottosegretario al lavoro, dopo aver fatto parte la commissione lavoro della camera e dopo la sua lunga militanza nel sindacato.

Due anni dopo viene nominata Ministro della Sanità, nel secondo governo Andreotti.
In 18 mesi firma la legge Basaglia n. 180/78 sulla chiusura dei manicomi e firma la legge n. 833 che istituisce il nostro servizio sanitario nazionale.

Questo lavoro pionieristico, questa attività, questo essere la prima ad aprire la porta perché altri possano dopo di lei percorrere la strada, è lo spirito che ha raccolto la Fondazione Tina Anselmi, che oggi (per quei casi della vita che a volte accadono) ha la sua sede proprio in viale Brigata Cesare Battisti, la Brigata in cui lei aveva militato durante la resistenza.

La Fondazione Tina Anselmi è il risultato di una sinergia tra pubblico e privato. Un importante lavoro di rete iniziato nel 2019, tra alcune cooperative sociali del territorio ed un gruppo di professionisti che hanno messo a disposizione le loro competenze in ambito legale e fiscale. L’idea progettuale si è concretizzata nel 2021 con la costituzione giuridica della Fondazione.

La Fondazione Tina Anselmi è nata, dunque, come una fondazione di comunità con un focus specifico sulle fragilità e sull’inclusione sociale delle persone con disabilità fisica e psichica, degli anziani.
Inclusione è uguaglianza di opportunità.
La Fondazione affianca queste persone cercando di progettare e poi costruire con loro un modello di vita indipendente, costituito da casa lavoro studio socialità.
La Fondazione, mettendo in dialogo famiglie, cooperative sociali e istituzioni, ha realizzato ad oggi due cohousing uno per disabili fisici gravi e uno per disabili mentali: ma l’abitare è solo una parte del progetto di vita delle persone con disabilità, e deve essere accompagnato da un pensiero olistico e da un approccio integrato che unisca appunto abitazione lavoro e socialità.

La Fondazione, che è collegata con l’università di Padova e Venezia, vuole essere un luogo di produzione di pensiero e di progetti in cui privato e pubblico si incontrano per creare beni e progetti comuni. È infatti una Fondazione di comunità. Pensiero progettuale che, se possibile, ambisce ad essere anche innovativo.
Anche in questo seguendo il pensiero di Tina

Tina Anselmi diceva che “la cosa è più giusta che noi adulti possiamo fare è dare fiducia alla saggezza dei ragazzi e delle ragazze, e non togliere loro con la nostra presenza ingombrante lo spazio per vivere e per maturare”.
Ciò che il mondo adulto può realizzare è la sua testimonianza quando riesce ad essere credibile.

Tina ha sempre sostenuto che nei momenti di crisi sociale e della politica bisogna tornare alle cose più elementari: bisogna esserci, perché ovunque c’è uno spazio nella società o nei partiti, lì le persone realmente democratiche devono esserci, perché è il vuoto che fa paura alle democrazie, sono il disimpegno e la noncuranza la malattia delle democrazie.
Pe questo la Fondazione partecipa attivamente a diversi tavoli di lavoro sia a livello provinciale, sia regionale, per dare il proprio contributo allo sviluppo sociale della nostra società e del welfare comunitario, seguendo il principio di “sanità per tutti” di Tina Anselmi.

La Fondazione di comunità Tina Anselmi risponde a questo bisogno della comunità di prendersi cura di sé, delle relazioni fra tutti i suoi componenti, di essere prossimi ai fragili.
Una comunità forte e consapevole può permettersi non solo di farsi carico delle fragilità ma anche di considerarle una risorsa e una opportunità.

La Fondazione è espressione della comunità ed è al suo servizio. La governance che la guida è espressione del mondo che rappresenta e promuove la partecipazione di tutte le componenti della comunità stessa attraverso i suoi organi istituzionali (comitato scientifico e comitato interistituzionale).

Siamo al momento l’unica Fondazione nel Veneto ad operare in questo modo e in questo settore. La prima. E come Tina ci stiamo cercando di aprire una strada che speriamo possa aiutare molti a mettersi sullo stesso cammino.

[Intervento dell’avv. Cristina Arata, Presidente della Fondazione Tina Anselmi al convegno dell’Università di Bari “Tina Anselmi: la forza della competenza e della passione politica del 22 novembre 2022”]

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