Perché la Fondazione porta il nome di Tina Anselmi
Ascoltiamo dalle parole della Presidente Cristina Arata, perché è stato scelto di intitolare la Fondazione a Tina Anselmi
Perché la fondazione porta il nome di “Tina Anselmi”? Le parole della Presidente Cristina Arata:
Tina Anselmi non è stata solo una grande concittadina e una grande donna, è stata una testimone di valori e di coerenza.
Io ho avuto l’occasione di conoscerla personalmente quando ero molto piccola, avevo 10 anni. Lei allora era ministro del lavoro ed ha trovato il tempo di venire presso le scolaresche per raccontarsi e raccontare le sue scelte di vita. Raccontare soprattutto il perché del suo essere all’interno delle istituzioni: per creare il futuro, diceva, di noi giovani.
Mi ricordo quando ci parlava della sua esperienza di staffetta, ma soprattutto della sua testimonianza all’interno delle istituzioni.
Non è stata una vita facile quella di Tina Anselmi nell’ambito delle istituzioni, però le istituzioni hanno sempre chiamato lei, non solo a svolgere ruoli molto importanti ma anche dei ruoli di cerniera estremamente delicati e che forse sono anche meno noti. Pensiamo a quanto lei fosse vicina ad Aldo Moro. L’unica persona che la famiglia ha accettato ad avere come interlocutore è stata Tina, perché era l’unica persona nella quale riconoscevano un’identità di valori senza ipocrisia; qualcosa che è sempre andato al di là della politica e che ha sposato quindi un’autorevolezza di testimonianza.
Pensiamo poi al ruolo dato da Nilde Iotti, Presidente della Camera, per la presidenza della Commissione P2. Ruoli delicatissimi.
Ma quello che a noi preme di più ricordare ora, è il suo ruolo come Ministro della Salute.
Lei è stata non solo la madre del nostro sistema sanitario nazionale, quindi della legge 833 del 1978, ma ha svolto un ruolo anche nell’ambito della salute mentale.
La nostra Fondazione nasce con questa idea di fragilità ad ampio spettro, cheriprende proprio la testimonianza di Tina Anselmi.
Certo è un’eredità non semplice, ci abbiamo riflettuto, però ci piace l’idea di poter raccogliere la sfida.
In fondo anche la Convenzione Onu è nata da un pensiero femminile italiano, è nata dalla proposta Italiana della dottoressa Saulle che negli anni 80 era professoressa di diritto internazionale alla Sapienza di Roma e che ha scritto la convenzione sulla disabilità. Una donna anche lì, di grande carisma e di grande determinazione.
Attraverso questa iniziativa quindi, italiana e femminile, riprendiamo la testimonianza della nostra concittadina e speriamo di trasformarla in un’azione che possa essere all’altezza della sua testimonianza.